venerdì 23 dicembre 2016

Per essere buoni preti

PER ESSERE BUONI PRETI


(Tratto da: Don Giuseppe De Luca, L’Annuario del parroco – 1955-1962, pagg. 504-505.)



Ci si fa poco caso, eppure tutto il resto senza di questo è nulla, nulla, nulla. Il sacerdozio in noi una cosa divina nella fonte, divina nel corso, divina nella foce: pura Grazia, soltanto Grazia, nient’altro che Grazia; in altro parole, soltanto carità, non nel senso di elemosina, bensì di amore di Dio per noi, amore nostro per Dio. Questo amore, vòlto alla salvezzadei fratelli attraverso la celebrazione del Sacrificio, l’amministrazione dei sacramenti, la dispensazione della divina parola, il governo pastorale; questo amore, solleva ad un compito che ci fa operai autorizzati di Dio nella redenzione degli uomini, tramite il sacramento dell’Ordine, che ce ne dà l’investitura, il potere, i poteri; questo amore è l’anima del sacerdozio. 

Orbene, noi nel migliore dei casi andiamo dietro a un sacco di argomenti e di ritrovanti, ma di rado di ricordiamo che la via regale, anzi, la via unica, per essere buoni preti è la preghiera. Vivere cioè con Dio, se vogliamo vivere e far vivere per Dio. La preghiera alimenta in noi la Grazia, conferitaci dal sacramento dell’Ordine. Una preghiera continuata, divenuta in noi il nostro organismo interiore: circolazione del sangue, respiro, nutrizione, tutto; una preghiera che non ci abbandona mai, nemmeno come a certa anime predilette da Dio, nelle ore dell’assopimento; una preghiera la quale ci venga trasformando via via in quel nuovo Gesù vivente che avrebbe da essere e ha tutto per esserlo, ogni sacerdote tra il suo popolo. 

Libri, conferenze, congressi, discussioni, studi, tutto sta bene; ma il nostro sacerdozio non è un mestiere, non è una professione, non è un’arte, non è una scienza: è una Grazia, e soltanto di Grazia vive e si fa grande. Abbiamo dunque già quanto basta, per essere buoni preti, ne abbiamo quanto basta e avanza; nient’altro ci occorre da nessuno. 

Ci serve soltanto, in ogni attimo, di metterci nelle mani del Signore. E starci. Può essere persino piacevole, metterci nelle mani di Dio. Starci, invece, è un’altra cosa. Starci, può anche significare stare in croce. Stare in croce, e morirvi; sì, morirvi.

Eppure l’unica e sola maniera, l’ unum necessarium per noi, è questo: starci. Risolutamente, e teneramente. In tutta umiltà, ma con intrepido volere. Iddio è nostro, se noi consentiamo ad essere suoi.

Non ci si pensa, non ci si fa caso, ma Dio è nostro. Nella misura in cui approfondiremo questa espressione, noi realizzeremo il nostro sacerdozio: opera in noi Iddio, nella misura che vive in noi.